Quando il rifiuto del coniuge al rapporto sessuale costituisce violazione di un dovere matrimoniale?

È un ormai un fatto come sia in aumento il numero di coppie nelle quali la sessualità non riveste alcun ruolo: sono i così detti “matrimoni bianchi”, ovvero relazioni coniugali privi di rapporti sessuali completi (sia mai consumati, sia cessati nel tempo).

Il fenomeno – già di grandi dimensioni nel 2018 (30% delle coppie coniugate) – è sempre più in aumento e la mancanza di interesse alla sessualità non è soltanto riconducibile alle donne. Quali i motivi? Diversi.

Ma la mancanza di una vita sessuale non ha solo conseguenze sul piano affettivo. Allorquando il rifiuto di avere rapporti sessuali con l’altro coniuge si manifesta nel corso del matrimonio, sia per mancanza di un’intesa sessuale “serena ed appagante”, sia per un mancato accordo tra i coniugi sui rapporti, sulla tipologia e sulla frequenza degli stessi, la parte che ritiene lesa la comunione spirituale e materiale della coppia è legittimata a proporre domanda di separazione, in quanto, ove debitamente comprovate, tali ipotesi costituiscono elementi che provano la carenza di legami e l’intollerabilità della convivenza.

In certi casi, può fondare anche la richiesta di addebito, laddove sussista una “colpa” da parte di uno dei due coniugi che precluda all’altro la possibilità di soddisfare i propri bisogni sessuali opponendo un ingiustificato e persistente rifiuto ad intrattenere rapporti e violando, così, uno degli obblighi di assistenza morale previsti dal matrimonio.

Lo Studio legale de Belvis affronta sempre più casi in cui la sessualità della e nella coppia è il banco di prova della durata del matrimonio e, non di rado, la causa della sua rottura.