Interessante pronuncia della Suprema Corte, un po’ risalente (Cass. 25843/2013), ma ancora molto attuale. Il disturbo di cui soffriva la donna non era tale da escludere la capacità di intendere e di volere, anzi, ella ne era pienamente cosciente, quindi la responsabilità del suo continuo bisogno di spendere e acquistare in modo frenetico non poteva che portare all’addebito della separazione per violazione dei doveri matrimoniali ai sensi dell’art. 143 c.c., con conseguente perdita del diritto al mantenimento. La donna utilizzava il denaro del marito, a sua insaputa, compiendo ingenti acquisti, spesso superflui, di oggetti, come borse, gioielli e vestiti. I giudici hanno ritenuto che la donna avesse assunto comportamenti lesivi dei doveri coniugali che avevano portato all’intollerabilità della convivenza: dalla CTU era risultato, infatti, che la donna fosse affetta da una nevrosi caratteriale di “shopping compulsivo“, caratterizzata da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili. Lo Studio Legale de Belvis offre consulenze mirate e personalizzate per “smascherare” i veri motivi di addebito da portare in giudizio, ma attenzione: neppure gli uomini sono al sicuro, visto che spesso sono anche loro a soffrire di compulsione all’acquisto!